Se avessi un ristorante…
È un brutto modo di cominciare un ragionamento, e viene da
dire: «Se
non lo hai cosa vuoi sapere? Lascia parlare chi lo ha!». Forzo il primo ostacolo in
nome dei miei natali in una trattoria ligure e di oltre vent’anni di lavoro in
un panificio con gastronomia ecc.
Che la ristorazione sia un comparto fondamentale per la
nostra economia, non è il caso di ribadirlo: lo è per il consumo interno e per
il turismo, visto che l’enogastronomia rappresenta uno dei più efficaci attrattori
turistici italiani.
Tuttavia, il virus ha azzerato ogni considerazione
ragionevole tarata sui parametri del passato e occorre affacciarsi a un mondo
che potrebbe cambiare anche parecchio. I problemi per la ristorazione sono
innumerevoli, ma mi soffermo su due in particolare: declinare a dovere le
regole di distanziamento che saranno emanate – incognita pesantissima che
richiederebbe tempi rapidi e chiarezza estrema! – e vincere la diffidenza del
pubblico. Tutto ciò a prescindere da altri due aspetti fondamentali: la
possibilità di sopravvivere alla forzata chiusura e la capacità e propensione
di spesa degli italiani, clienti primari della ristorazione, almeno nel breve
periodo.
Ammesso che una parte di nostri concittadini voglia recarsi
al ristorante (inteso come locale che somministra cibo a qualunque livello,
dalla trattoria più modesta al locale esclusivo), credo che il problema
fondamentale sarà far pesare il meno possibile sia le norme di protezione – camerieri
bardati come infermieri ecc. –, sia la diffidenza rispetto a ciò che arriverà
nel piatto, cioè alle attenzioni igienico-sanitarie adottate nella
preparazione. Ed ecco riproporsi il ritornello iniziale: se avessi un
ristorante…
Premesso che risulta difficile generalizzare per ovvie
ragioni di eterogeneità dei locali, avessi un ristorante inseguirei
maniacalmente un aspetto che trovo vitale: avvicinare la cucina al cliente. Mi
spiego. A costo di qualunque sacrificio degli spazi, del lavoro e della
“produttività”, cercherei di rendere il più possibile visibile il cucinare. Mi
rendo conto che per farlo occorra una revisione pesante del proprio lavoro e
dell’impostazione che gli si è data negli anni, ma oggi le cose sono cambiate
radicalmente e la situazione richiede un nuovo approccio.
La capienza dei locali sarà certamente ridotta di parecchio,
almeno per mesi, e gli incassi si assottiglieranno di conseguenza, se andrà
bene tutto il resto. Quindi, l’unico, possibile obiettivo per la sopravvivenza
del locale – non di più! –, sarà riconquistare la fiducia della clientela vincendo
una nuova e comprensibile diffidenza. Avvicinare la cucina significa avviare una
piccola rivoluzione che consiste nel trasferire alla vista il maggior numero di
preparazioni possibile, impostare il menù verso piatti che si adattino più
facilmente a questo nuovo sistema, eliminare – almeno per un periodo – le preparazioni
che prevedano cibi crudi, ridurre al minimo lo spostamento delle pietanze dal
fornello al tavolo. Come fare? Innanzitutto sono conscio che non tutti i locali
possano farlo a causa dell’eterogeneità di cui sopra. Certo, un ristorante
esclusivo ha già un’impostazione che consente qualche margine di tolleranza in
più, almeno per gli spazi in sala, ma ci sono anche tanti locali, piccoli e
grandi, che hanno uno sfogo all’aperto, cosa che in questo momento storico, e
nei prossimi mesi estivi, potrebbe rivelarsi vitale. Inoltre, molte
Amministrazioni si sono rese disponibili a facilitare l’occupazione di spazi
pubblici per la somministrazione all’aperto. Aggiungerei che anche le Autorità
Sanitarie dovranno contribuire ad affrontare diversamente la situazione, poiché
senza uno sforzo comune verso soluzioni a problemi del tutto nuovi, non si
andrà da nessuna parte. Cominciando
proprio da chi ha una disponibilità di spazi all’aperto, io proverei a
trasferire l’attività di cucina nell’area esterna, ovviamente impostando il
menù in quella direzione, cioè verso preparazioni meno elaborate che richiedano
anche una minore dotazione di attrezzature. Dovessi scegliere di andare al ristorante,
indipendentemente dai gusti personali, dalle simpatie, dalle conoscenze e dalle
amicizie, in questa fase favorirei chi contribuisce a farmi “dimenticare” le
preoccupazioni con un’impostazione più semplice, diretta e trasparente. Vedo le
materie prime giungere dalla cucina, come le tratti e le cucini, come impiatti e
come arriva la pietanza al tavolo.
Ciascuno può pensarla come crede e valutare se questa breve
riflessione meriti considerazione e magari una propria declinazione. Per
esempio ci sarà chi pensa a una cucina alla brace, sia di pesce, di carne o
vegetariana. Oppure a trovate conviviali come cucinare certi primi piatti in
grandi padelle da esterno – penso al Pentolo
di Paolo Parisi – per proporle come primo “collettivo”. Le ipotesi possono
essere numerose, e ogni professionista le conosce molto meglio di me. Ciò che
però vorrei sottolineare, è la necessità di una nuova attenzione ai dettagli.
Per esempio il pane: se sarà consentito averlo nel cestino, nel piattino o
dovunque si crederà, a me piacerebbe vederlo uscire da un piccolo forno dove
sia stato posto a riscaldare per l’opportuna sanificazione. È corretto? Si può
fare? A che temperatura va tenuto? Per quale tempo minimo? Queste sono
indicazioni sanitarie che dovranno essere acquisite dalle associazioni di
categoria attraverso un’apposita consulenza, e quindi diffuse fra gli operatori
della ristorazione. Occorre precisare, però, che l’Istituto Superiore di Sanità
ha dichiarato che “il
virus SARS-CoV-2 si diffonde per contagio inter-umano, e non vi sono evidenze
di trasmissione alimentare, associata agli operatori del settore alimentare o
agli imballaggi per alimenti (Rapporto ISS COVID-19 n. 17/2020).
Tuttavia, avendo imparato che di fronte a questa nuova malattia la
scienza sta navigando a vista, applicare le buone norme del principio
cautelativo, sacrosanto in qualunque condizione, oggi è più che mai decisivo per
vincere la diffidenza e l’incertezza.
Insomma, il mio non è un buon consiglio, né vuol essere il
suggerimento di uno dei tanti soloni che ragionano coi problemi altrui. Semmai
vorrei fosse uno stimolo, se avrà almeno la dignità di essere considerato tale.
Poi so benissimo che sarà solo la prima riapertura a suggerire come tarare il
sistema, ma si tratta di provare ad avvicinarsi a un metodo che possa richiedere
ritocchi, se possibile, non stravolgimenti, seppur di fronte all’ignoto.
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