La tradizione dello sciroppo di rose
Nella mia Valle, fra maggio e giugno, si lavorano le rose. Una tradizione antica e autentica – oggi ce ne sono troppe inventate! – che si tramanda da secoli nelle famiglie. Ogni primavera, appena comincia la fioritura delle rose, inizia anche il lavoro per fare lo sciroppo e lo zucchero rosato. Due specialità singolari con radici molto antiche, testimoniate da documenti che riportano indietro di diversi secoli. Tuttavia, la storia non è l’argomento di queste poche righe, che invece vorrei dedicare alla tradizione, cioè a quel passaggio continuo fra le generazioni segnato dalla consuetudine di produrre e consumare certe specialità originali come lo sciroppo di rose e lo zucchero rosato, cioè la confettura di petali.
Qui da noi, ancora negli anni Sessanta del secolo scorso, una
delle bevande più comuni fra i bambini era lo sciroppo di rose. Sciolto in
acqua fresca d’estate e calda d’inverno, nella calura serviva a dissetarsi con
gusto, al freddo confortava come un te caldo. Lo zucchero rosato, invece, come
produzione casalinga era meno diffuso e si poteva comprare in alcune farmacie
storiche, come la farmacia Sant’Anna, fondata nel XVII secolo, o da prestigiose
confetterie come Romanengo, ditta nata nel 1780. Entrambe ancora in attività. Serviva,
per esempio, per alleviare il dolore alle gengive dei bimbi nel momento in cui
mettevano i denti: il sapore dolce e gradevole, agevolava certamente il
compito.
Le rose usate per queste due produzioni appartengono alle
cosiddette rose antiche e probabilmente, sono popolazioni selezionate nei
secoli a livello locale. Ciò che le rende adatte allo scopo è il profumo
intenso, persistente e molto più accentuato di tante altre varietà di rose. Qui
in alta valle Scrivia non ci sono roseti sterminati, né piantagioni diffuse
come in certe zone della Bulgaria, del Marocco o della Turchia, paesi
produttori di estratto di rose per l’industria cosmetica. Da noi, quasi ogni
giardino o aiuola sotto casa aveva una pianta di rose da sciroppo, talvolta
capace di produrre fiori appena sufficienti per fare una manciata di bottiglie
di sciroppo per il consumo annuale.
Negli ultimi venti anni lo sciroppo di rose
ha visto una notevole diffusione che ha portato a un’espansione notevole dei
roseti e, di conseguenza, alla produzione di petali. Tuttavia, lo sciroppo rimane
una specialità di nicchia nelle mani di piccoli produttori artigianali che,
pian piano, si sono costruiti un proprio mercato anche grazie al riconoscimento
di Presidio Slow Food. Di pari passo si è assistito a una forte rivalutazione
del prodotto anche in cucina, in pasticceria e in gelateria, ciò che ha
determinato anche un interesse esterno alla valle, e dunque l’avvio di nuovi
roseti sia nei dintorni, sia in altre regioni, spesso limitrofe. Questa piccola
storia è solo un segnale di come un prodotto semplice e originale possa
attraversare il tempo e giungere indenne ai nostri giorni trovando un buon
apprezzamento e una seria rivalutazione.
Per chi volesse saperne di più:
Sergio Rossi, Sciroppo di Rose, la tradizione ligure delle rose antiche, Sagep Editore;
Ilaria Fioravanti e Maria Giulia Scolaro, Rosa Rosae, declinare la rosa in cucina,
Sagep Editore.
non so perché ma speravo di trovare una ricetta... mia nonna lo faceva ma sempre in gran segreto
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