La baracca è impagabile
Sono sempre più convinto che nella vita ciascuno debba
possedere una baracca. Attenzione, però, il termine si presta a differenti
interpretazioni. La definizione più comune, condivisa dai dizionari, all’incirca
dice così: “costruzione provvisoria, di legno o di materiali vari, spesso di
recupero, con tetto in lamiera e comunque fatiscente”. Io, invece, intendo
un’evoluzione di questa descrizione, cioè una struttura sempre provvisoria,
spesso precaria, che diventa il contenitore nel quale si accumulano oggetti,
utensili e arnesi di ogni genere, ma anche luogo in cui ci si ingegna, si
progetta, si costruisce e si inventano altri attrezzi, congegni e soluzioni
pratiche a problemi che le richiedono. Ecco, questa è la vera baracca: un luogo
insospettabile che non ha eguali. In sé appartengono alla categoria tutte le
baracche, ma non ce n’è una identica all’altra, perché le differenze le fa chi
la crea e la frequenta, chi la vive e la rende prolifica. Nella mia vita ho
visto tante baracche di gente dei miei monti, e dentro a quelle costruzioni
improbabili ho trovato sorprese che definire inattese sarebbe davvero riduttivo.
Capacità inenarrabili, ricicli strabilianti, creazioni fantasiose ma di provata
efficienza: quanti ingegni avremmo perso se non esistessero le baracche? Me lo
sono chiesto più volte e a ogni visita nella baracca di un amico, di un
contadino o di un semplice hobbista, ho sempre pensato che la perdita delle
baracche sarebbe una carenza sociale incolmabile, una ferita insanabile, una
sottrazione culturale pesante da digerire. Per fortuna, però, ci sono,
resistono, e il loro punto di forza sta proprio nella loro eterogeneità e nella
“diversità” dei possessori.
C’è chi è ordinato e riesce a tenere la baracca come il
negozio di un gioielliere e chi invece la tratta con più rudezza, prendendosi
qualche libertà. C’è chi la attrezza con ogni confort e chi usa l’estro
artistico più estremo nei riusi. Si perché l’arredo delle baracche è quanto di
più improbabile possa immaginarsi. Può capitare di trovare parti di mobili in
disuso trasformate in banchi da lavoro, oppure scaffali rabberciati riportati a
nuova vita con trapianti ingegnosi e puntelli fenomenali. Non parliamo, poi,
dei contenitori di ogni genere, forma, colore, materiale e natura, utilissimi
per contenere tutta la minuteria più superflua che talvolta ozia per decenni in
posizioni sempre più arretrate, per tornare alla luce quando si decide di
riordinare, cioè raggiunta la soglia dell’invivibilità. Quello è un momento
memorabile, e bisogna essere soli per affrontare un viaggio nell’ignoto che
spesso assume i contorni di un’avventura nell’impenetrabile selva dei recuperi
senza speranza e dei buoni propositi mai attuati: e chi ha il coraggio di
gettare via qualcosa di tanto vitale? Chissà, potrebbe sempre servire, meglio
trovargli una nuova sistemazione e lasciarlo sopravvivere fino al prossimo
riordino, di solito trascorso qualche anno.
Nelle baracche finiscono i ritrovamenti casuali di materiali
da riciclare, oggetti da rivitalizzare, strumenti da restaurare. Lì dentro si
accumulano le idee, i progetti, i propositi per nuove “creature” stravaganti
che hanno preso forma solo nella testa dell’inventore e attendono il via libera
all’esecuzione: stanno lì a mezz’aria, non si vedono ma ci sono, e ogni volta
che si varca la soglia si rianimano. Poi viene il momento di passare all’azione
e allora la baracca si trasforma nel laboratorio di mister Q, ma anziché preparare l’auto extra accessoriata per gli
agenti speciali di Sua Maestà, si lavora alla realizzazione di un marchingegno
esclusivo o di un attrezzo inesistente: roba preziosa, sempre. Perché è dentro
le baracche che hanno preso forma tanto gli utensili più stravaganti, mai
inventati prima, quanto quelli più improbabili, già defunti al momento del
parto. Ma non c’è timore di giudizio, mai, perché ciò che nasce in una baracca
è per natura esente da colpe, vizi, difetti e complessi di inferiorità, come se
avesse un certificato di immunità cosmica, perenne. Infine c’è il momento della
grande soddisfazione, quella che segue alla realizzazione del mito,
dell’oggetto inseguito da decenni e che finalmente ha preso forma. Ed è proprio
da quella gratificazione impagabile che trae alimento la fantasia, la voglia di
reinventare, la consapevolezza di aver realizzato l’opera unica, bella o brutta
che sia, utile o inutile, tanto ha il certificato di immunità cosmica e neppure
un marziano potrà criticarla.
Che meraviglia le baracche! Rientro nella mia ché ho in
testa un’idea da anni e forse ci siamo!
Ecco cosa mi manca!!!! Si apre un mondo! Grazie!
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