Tonno rosso si o no?
Verrà anche il giorno in cui una persona qualunque, un “consumatore” come tanti, sarà informato correttamente e in maniera tanto esauriente da consentirgli di scegliere il proprio cibo in piena coscienza. È un pensiero piuttosto frequente che in questo caso si ripropone a proposito del pregiato tonno rosso (Thunnus thynnus) e della pesca che se ne fa nel Mediterraneo.
Tonno rosso (Thunnus thynnus) |
Volendo ascoltare le diverse voci che esprimono opinioni spesso contrastanti su questo complesso argomento, si fa davvero fatica a formarsi un’idea su come sia giusto comportarsi, e più si va a fondo al problema più ci si accorge che le certezze vacillano e le opinioni discordi proliferano.
Pare che il tonno rosso sia a rischio estinzione, ragione per cui la pesca è regolata dall’ICCAT (Commissione internazionale per la conservazione dei tonni atlantici), che ogni stagione determina i contingenti di cattura da dividere fra i vari paesi che si affacciano sul nostro mare. E fin qui nulla di strano, anzi la tranquillità che un organismo intergovernativo e indipendente vigili sulla conservazione e sulla tutela dei tonni limitandone la pesca.
Pesca a circuizione, tratta da http://www.arpa.emr.it/
Le quote espresse dall’ICCAT sono poi suddivise fra gli stati e, per ogni singolo paese, ulteriormente ripartite fra i diversi metodi di pesca: le tonnare volanti (reti calate da grosse imbarcazioni che individuano i branchi di tonni e, circondandoli velocemente, li catturano), i palangari (lunghe lenze dotate di molti ami calate da imbarcazioni), le tonnare fisse (lunghe reti fisse, collegate a terra, che catturano i tonni di passaggio) e la pesca sportiva. Nel 2012 all’Italia è stata assegnata una quota di tonno rosso pari a circa 1780 tonnellate, così ripartita fra i diversi sistemi di pesca: circuizione 77%, palangari 11%, tonnare fisse 6,7%, pesca sportiva 1,9% oltre a circa un 3% di quota di riserva. Come si può vedere, alle tonnare volanti spetta la gran parte delle quote mentre gli altri si dividono il resto.
Palangaro derivante, tratta da http://www.ispesl.it/
Al momento la più redditizia attività legata al tonno rosso è certamente quella di ingrasso, che comporta, ovviamente, la precedente cattura del pesce vivo con trasferimento in grandi gabbie galleggianti fino agli impianti finali dove i pesci saranno opportunamente ingrassati. E se fino a due anni fa a pescare i tonni vivi erano soprattutto le tonnare volanti, oggi anche le poche tonnare fisse ancora attive, per l’esattezza tre nel mare di Sardegna, pescano esclusivamente tonni vivi destinati ai suddetti impianti. In pratica, dunque, il tonno pescato che oggi finisce direttamente sul mercato è solo quello dei palangari, il resto va tutto all’ingrasso, per essere poi in gran parte destinato al mercato giapponese dove è oltremodo quotato e richiesto.
Tonnara fissa, tratta da http://www.hieracon.it/
A questo punto il consumatore medio fa due più due e comincia a chiarirsi le idee: circa l’85% del tonno rosso finisce all’ingrasso e poi al mercato estero mentre solo il 15% rimane a casa nostra. E la domanda successiva è: sarebbe possibile pescare tonno rosso in modo sostenibile? La risposta probabilmente è si, se solo si assegnassero maggiori quote a quei metodi di pesca considerati appunto sostenibili, come le tonnare fisse, che oggi sono costrette a pescare il vivo per ragioni prettamente economiche ma che hanno sempre pescato per destinare il prodotto in parte al mercato giapponese e in parte a quello locale, sia col prodotto fresco, sia con il trasformato (tonno sott’olio).
Intanto è corretto registrare alcune posizioni ufficiali assunte da diverse associazioni ambientaliste e di tutela del patrimonio alimentare. Gli ambientalisti sostanzialmente dicono di ridurre la pesca del tonno rosso, limitarne altrettanto l’allevamento, che sarebbe inquinante e arrecherebbe diversi altri danni, e attivare una politica di tutela delle zone di riproduzione anche con la creazione di nuove aree marine protette. Associazioni legate al cibo, come Slow Food, raccomandano di non comprare né consumare tonno rosso, in modo da non incoraggiarne la pesca. Lo stesso fanno alcuni gruppi della grande distribuzione organizzata e altre aziende importanti dedite al commercio di alimenti di qualità. A questo punto il consumatore potrebbe semplicemente seguire i consigli di cui sopra senza ulteriori esitazioni; ma se provasse a chiedere lumi agli studiosi, anche solo per un’ultima conferma, ascolterebbe versioni spesso contrastanti con una tendenza generale più orientata verso la cautela piuttosto che verso la certezza di una necessaria riduzione o cessazione della pesca. Ancora ultimamente, in occasione di alcuni convegni dedicati al tonno rosso, gli studiosi non hanno lanciato allarmi circa possibile pericolo di estinzione della specie, orientando semmai l’attenzione sulla necessità di modificare la ripartizione delle quote aumentando i contingenti a favore di metodi considerati maggiormente sostenibili, come le tonnare fisse e in parte i palangari. A sentire, poi, i pescatori, ovviamente parte in causa e quindi solo per questo considerati meno attendibili, negli ultimi anni i tonni rossi sarebbero aumentati sensibilmente di numero, tanto da determinare il raggiungimento delle quote in tempi brevi proprio grazie alla maggior presenza di pesci. A tal proposito è stato perfino citato l’esempio della tonnarella di Camogli (in provincia di Genova), piccolo impianto fisso che non cattura tonni ma altri pesci di passaggio (peraltro tutelato come presidio Slow Food per il metodo tradizionale di pesca), nella quale ultimamente sono entrati diversi esemplari di tonno rosso, cosa che non capitava da alcuni decenni. Ma allora questo tonno rosso è in pericolo o no? Come già riferito prima, il principio cautelativo, unito al buon senso, dovrebbe sempre guidare le scelte, consigliando, forse, di orientare maggiormente la pesca verso le tonnare fisse, sistemi tradizionali che nel tempo non hanno causato erosione delle popolazioni di tonni e che consentono un capillare controllo di tutta l’attività di pesca. Le deduzioni finali non sono per nulla scontate né semplici ma certamente portano a considerare che pescare i tonni vivi, trasportarli per giorni dai luoghi di pesca fino alle gabbie di allevamento, concentrarne una gran quantità in spazi relativamente ristretti, ingrassarli per mesi e infine venderli all’estero, non pare proprio essere un’attività sostenibile. In questo modo la pesca del tonno rosso nel Mediterraneo diventa una sorta di attività a pagamento fatta solo per compiacere i gusti raffinati di pochi palati orientali, rischiando allo stesso tempo di azzerare la profonda cultura locale legata alla pesca del tonno. Chiunque può quindi decidere se, come e quanto tonno rosso mangiare, se non altro conoscendo un po’ meglio la realtà attuale e orientando le proprie scelte in modo da favorire sempre i metodi di pesca sostenibile. Unica, ulteriore cautela, fare attenzione alle truffe (ovvero al tonno rosso pescato e venduto illegalmente), dalle quali ci si difende facilmente affidandosi a negozianti di fiducia, i quali hanno tutto l’interesse a tutelare se stessi e i propri clienti.
giugno 2012
Sergio Rossi, il cucinosofoâ
Effettivamente più cerco di capire il sistema pesca, leggendo i vari metodi, compresa l'acquacoltura e più trovo incertezze. Alcuni esaltano il palangaro come sistema tradizionale e sostenibile che però se esteso per grandi superfici marine, diventa anch'esso nocivo, altri parlano bene della pesca circuizione ma anche lì se affrontata con i Monster Boats, se fatta come una rapina o pesca pirata, si porta via tutto anche ciò che non serve al mercato ma serve al mare. Per l'acquacoltura ci sono metodi no e metodi si, ovvero questi pesci d'allevamento hanno bisogno di montagna di cibo (sardine, acciughe..) per poter crescere ma non c'è un rapporto equilibrato fra la popolazione da allevare ed il cibo che devono mangiare. Altri allevatori usano cibi dannosi. Anche per questo argomento, qual è il modello di acquacoltura giusto? Per poter lavorare i piccoli pescatori in modo sostenibile e viverci del loro lavoro in che modo dovrebbero pescare? rispettando le stagionalità, la riproduzione, la stazza dei pesci, l'attrezzatura e il peschereccio stesso. Ho l'impressione che per ragioni di busness dei più forti, come al solito, girano tante informazioni che confondono le idee. Credo che Greenpace e Slowfish siano delle guide serie ma comunque se si volesse avviare in una località marina il processo per la pesca sostenibile che possa sostenere le famiglie dei pescatori in modo adeguato, mi sembra ancora problematico, prima perché i piccoli pescatori dovrebbero fornirsi di imbarcazioni adeguate ma in proposito leggevo che i fondi per questo argomento coprono solo una piccola parte di spesa. Se una persona vuole mettere in campo un’etica di rispetto del mare, deve avere già di suo dei capitali e con questo sistema molti pescatori sono esclusi e poco motivati al cambiamento, oltre al problema delle quote(una parte insignificante) e della distanza per pesca. Al largo non ci possono andare e poi troverebbero i pescherecci pirata. Per la pesca costiera, c’è l’ aspetto delle zone protette che sembra si depauperino. Slowfood sostiene che una parte del discorso sui beni comuni, parchi e aree protette, è un mito delle multinazionali (alias associazioni o altro) che cercando di sensibilizzarne la tutela ne mettono in risalto il degradare in modo da indurre i comuni e le regioni a lasciargli carta bianca. Naturalmente sono associazioni di ” tutela” che dovrebbero controllare e proteggere le aree, invece diventano con il tempo proprietari es, di parti dell’oceano a tutti gli effetti, facendo tutti gli scempi e arricchendosi con i beni comuni che diventano beni privati. Anche questo discorso della tutela che ci confortava è pieno d’insidie. L'Arte, la consapevolezza, il cambiamento di rotta e di regole europee ci salverà... Cris
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