Le patate di Montoggio
La
patate di Montoggio sono famose in Liguria e non solo. Lo sono da decenni,
almeno per il passato più recente. Col Dopoguerra e la villeggiatura, chi
risaliva i tornanti di Creto per trascorrere l’estate a Montoggio, tornava a
casa col sacco di patate locali, talvolta più d’uno.
Questa vocazione verso i pomi di terra, come li chiamavano ancora
nei primi decenni dell’Ottocento, ha una storia piuttosto antica e documentata.
Verso fine Settecento le patate si diffusero sulle montagne genovesi anche
grazie all’azione efficace e lungimirante di Michele Dondero, parroco di
Roccatagliata, un paesino che sta sulle alture della valle Fontanabuona ma
assai prossimo ai villaggi della val Trebbia e dell’alta valle Scrivia. Il
sacerdote cercò di convincere i suoi parrocchiani circa la bontà e la forte
resa delle patate, ma ci vollero caparbietà e costanza per giungere al risultato
sperato. Su quei monti tanta gente viveva in un regime di povertà e
denutrizione – è lui stesso a raccontarlo nelle sue cronache – ma nonostante
quella condizione c’era una gran diffidenza verso un nuovo ortaggio venuto da
chissà dove. Don Michele alla fine l’ebbe vinta ma ci volle qualche stagione
per convincere i suoi conterranei a coltivare e mangiare le patate. Siamo negli
anni Ottanta del Settecento e circa un decennio più tardi, nel 1796, viene
pubblicato lo studio del topografo Pellegrini che raccoglie, fra l’altro, i
dati relativi alla produzione di patate in diversi paesi dell’Appennino genovese.
Con 55.000 rubbi, cioè 440 quintali, Montoggio è il paese con la maggior
produzione.
Val d’Àveto Santo Stefano (30.000), Val Borbera
Cabella (400), Cantalupo (700), Carrega (0), Grondona (170),
Mongiardino (4.340), Roccaforte (5.000), Rocchetta (1890)
Valle Scrivia Busalla (4.000), Casella
(7.000), Croce Fieschi (1.500), Isola del Cantone (800), Montoggio
(55.000), Ronco (800), Savignone (8.000)
Valle Stura e Val Trebbia
Campofreddo (2.500) Fascia (1.600), Fontanigorda (3.400),
Gorreto (4.500), Montebruno (6.000), Ottone (5.800), Propata
(800), Rondanina (800), Rovegno (6.000), Torriglia (4.500)
(I
dati sono tratti dalla relazione del topografo Pellegrini (1796), citata in A.
Sisto, I feudi imperiali del tortonese (secoli XI-XIX), Giappichelli,
Torino 1956, pag. 176; in evidenza le produzioni di Montoggio e Santo Stefano
d’Aveto.).
Questo
dato rivela l’evidenza che Montoggio avesse almeno una generica vocazione
territoriale favorevole alla produzione di patate, condizione che può averne
incentivato la coltivazione e, di conseguenza, alimentato l’esperienza
agronomica dei contadini locali. In altre parole, è probabile che gli
agricoltori montoggini si fossero resi conto di quanto venissero bene le patate,
rendendo di più del grano e del mais e costituendo un ottimo alimento. Tanto
per fornire un termine di paragone con le colture allora più popolari, cioè
cereali e granturco, i dati di fine Settecento, relativi alle montagne genovesi,
rivelano che “[…] da quella
porzione di terreno, donde non potevano ricavare che uno stajo [24
litri] di altre derrate, ne uscivano 50 rubbi [400 kg] di pomi di
terra; i quali a calcolo fatto equivalevano a 25 rubbi [200 kg] di
granone.”. [Massimo
Angelini, Le patate della tradizione rurale sull’Appennino ligure –
Chiavari, 2008]. Forse
questo dato fornisce la prova evidente della convenienza che, vinta la
diffidenza, trovarono i contadini nel coltivare attivamente le patate.
In
ogni caso, qualunque sia la ragione per cui Montoggio conquistò quel primato, questa
tradizione antica rimane tuttora viva, poiché le buone patate sono sempre coltivate
dai produttori locali. Sui mercati genovesi, e non solo, la scritta “Patate di
Montoggio” attrae sempre i compratori che riconoscono un prodotto storico di
elevato valore qualitativo. Discorso a parte meritano le diverse varietà coltivate
nel tempo. Montoggio è famosa per le sue “Bianche”, riportate in auge da un
paziente lavoro di ricerca e rivalutazione concreta da Massimo Angelini a
partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Alle “Bianche o Quarantine”,
probabilmente erano affiancate anche altre varietà “antiche” soppiantate,
almeno in parte, dalle nuove varietà introdotte nel Secondo Dopoguerra. Una fra
tutte, forse la più diffusa fino a qualche decennio fa, era la Kennebec, localmente conosciuta come Kennedy, corruzione popolare del nome
originale. In seguito, con l’aumentare delle varietà commerciali, ognuno decise
di coltivare quelle che rendevano meglio o riscontravano il maggiore
apprezzamento della clientela. Ciò che conta davvero per Montoggio,
indipendentemente dalla varietà, è che a fornire una sorta di “Marchio di
Qualità” ai tuberi locali, è sempre il nome “Patate di Montoggio”, che
costituisce tuttora, per il consumatore finale, un elemento di attrattività e
affidabilità, non una cosa da poco, di questi tempi.
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