Continuare a
sprecare il cibo è immorale
Lo spreco di cibo
non è solo un problema impellente, ma anche una condotta immorale di questa
società. Le numerose leggi, i regolamenti sanitari e un mare di burocrazia,
sempre in crescita, di cui è vittima perfino chi deve gestirla o controllarne
l’applicazione, oggi sono orientati soprattutto alla vendita del prodotto
alimentare e si occupano della sua “seconda vita” solo per porre limiti e
barriere a un reimpiego ragionevole. In una società come la nostra, dilaniata
da una crisi senza precedenti, seconda solo alla guerra o alle più gravi calamità
naturali, migliaia di persone versano in seria difficoltà, arrivando a
sacrificare perfino il cibo per mancanza di risorse. Per contro, dove il cibo
c’è, dove si vende, dove si cerca comunque di fare in modo di non sprecarne, e
dove, soprattutto, si potrebbe destinarne in beneficienza, si deve combattere
contro mille ostacoli, spesso irragionevoli. Lo so che dico cose apparentemente
scontate, ma credo ci sia bisogno di ripeterle a favore di chi, forse, non le ha
ancora comprese. Chi rinuncia al cibo, chi non può comprare certi alimenti
primari, chi si priva perfino del pane fresco, chi è costretto a ripiegare su prodotti
di scarsa qualità per far rendere i pochi denari che ha in tasca, non ha più
tempo! La situazione attuale è in scadenza come i prodotti alimentari,
esattamente allo stesso modo. Se non si interviene subito – oggi! – il problema
assumerà proporzioni tali da diventare devastante e irreparabile: cosa c’è di
più immorale che sprecare cibo quando altri, accanto a noi, ne avrebbero
estremo bisogno? Credo nulla.
Oggi, però, non c’è
più spazio per la sola protesta, ognuno di noi ha la responsabilità di esprimere
proposte concrete per uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo. E allora
faccio la mia, pur consapevole di poter apparire ingenuo. In ogni tempo e in
ogni situazione, le difficoltà più serie hanno suggerito l’aggregazione, e dove
c’è stata si è superata la fase critica. Tradotto in pratica, ciò significa
realizzare una collaborazione molto stretta fra istituzioni, organismi di
controllo, associazioni benefiche, associazioni di settore e singoli
imprenditori alimentari. Una sorta di cordata unica, aperta e impegnata verso
un fine condiviso: ridurre gli sprechi e ridestinare tutto il cibo recuperabile
verso chi è in condizioni di indigenza. Cercando però di riconoscere e valutare
anche i benefici sociali indiretti che una comunità ricava da un’azione del
genere, ovvero ridurre i costi sociali, diminuire
la quota di rifiuti organici in discarica, abbassare i costi generali che ne
derivano, alimentare, incrementare e promuovere i comportamenti virtuosi dei
cittadini e alleviare gli oneri per le aziende alimentari. Infine, ma non certo
ultimo, dimostrare che dove e quando si riesce a concentrare gli sforzi verso un
unico obiettivo, la collaborazione fra chi opera nello stesso settore, seppur
con ruoli diametralmente opposti, porta solo benefici comuni ben più che
rilevanti.
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