Vorrei contadini a chilometri zero!
Che
poi il concetto di "chilometro zero", come si usa dire oggi indicando
quei prodotti, soprattutto agricoli (ma non solo), che vengono coltivati nelle
vicinanze dei luoghi di vendita, non è esattamente così
chiaro. Perché siamo d'accordo che il cibo prossimale sia sempre da
favorire, con alcune attenzioni alla qualità, ma poi bisognerebbe chiarire che
cosa si intenda davvero per chilometro zero. Facciamo un esempio legato alla
nostra terra di Liguria, un esempio comune, però, non un'eccezione.
Un contadino dell'entroterra produce buoni ortaggi e li porta a
vendere al mercato più vicino;
è uno serio che coltiva con
coscienza, magari preferendo anche le varietà
locali, ciò di cui
spesso non si capisce a fondo il valore. Se i suoi prodotti oltre che freschi e
sani sono anche buoni - potrebbe essere altrimenti? - credo che ognuno di noi
sia felice di comprarli, soprattutto se coerenti nel prezzo. Bene, a quel punto
con il nostro acquisto avremo dato dignità
di realizzazione al concetto di chilometro zero. Forse. Perché c'è ancora un dubbio da sciogliere che riguarda
proprio il nostro contadino; cerco di spiegarne la ragione. Conoscendo
abbastanza bene l'entroterra, so che molti produttori abitano, per necessità, in zone marginali; magari
neppure troppo isolate quanto a chilometri da percorrere, ma certamente circa
la tortuosità dei tragitti
o la difficoltà a
raggiungere i servizi essenziali. E qui sta il punto: che chilometro zero è quello dei suoi ortaggi se per
comprare le medicine deve fare un'ora di strada, se per avvicinare i suoi figli
alla fermata dello scuolabus deve fare alcuni chilometri nove mesi l'anno, se
per andare dal medico fa altrettanto, o per recarsi negli uffici pubblici
ancora peggio? Potremo anche credere che la sua lattuga sia a chilometro zero,
ma sarà tutta una storiella
che ci vogliamo raccontare senza neppure crederci troppo. Va bene, si dirà, ma allora come fare a rendere
più reale e coerente il
concetto di chilometro zero? Credo basti spostare l'attenzione dal prodotto al
produttore, pensando a qualcosa di più
simile al "contadino a chilometro zero". Se noi sommiamo i
chilometri percorsi dal nostro amico nello svolgere le normali attività vitali, vedremo che la lattuga
fa pochi chilometri ma chi la coltiva e la vende ne fa parecchi. Dunque, se
vogliamo riempire di significato uno dei tanti slogan inutili che servono a non
dir nulla, dobbiamo avvicinare i servizi al contadino. Non sarà possibile in tutto, d'accordo,
ma intanto andiamogli incontro. Per esempio riduciamogli la burocrazia. Secondo
uno studio recente, ogni contadino - non solo lui, certo - è costretto a passare un terzo
del suo tempo lavorativo a compilare registri o comunque a fare scartoffie. E
spesso deve recarsi direttamente in uffici preposti a tali compiti: vogliamo mettere
in conto questa strada (e non parliamo del tempo)? Non ha più un negozio nel giro di
chilometri, e se gli serve qualcosa di non programmato, oltre alla solita
spesa, deve partire e fare altra strada. E lasciamo pure stare tutto il resto,
dall'ufficio postale, alla banca, ché
ci sarà chi dice che
oggi ci sono i conti on line, come se tutti dovessero per forza avere un
computer e saperlo usare, oppure accettare a priori di svolgere le proprie
operazioni stando davanti a uno schermo. La faccio breve ché sennò non se ne esce, ma certamente non si può continuare a insistere parlando
di favorire l'agricoltura, il ripopolamento della campagna e tutte queste belle
cose, se poi chi vuole fare quella vita viene, suo malgrado, isolato. Senza
contesto, senza comunità,
senza persone né servizi la
campagna è morta e sepolta,
e il nostro bello slogan così efficace
e simpatico non significa proprio niente. Vorrei tanto un contadino a
chilometri zero!
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