Genova e il Natale a tavola

Sappiamo tutti che il Natale ha i suoi simboli gastronomici: è così in tutta Italia, e non solo. Fra essi, però, mi prendo la libertà di sceglierne alcuni, per me più significativi e forse non sempre così “praticati”.

Parto dai ravioli conditi con il classico tuccu, il sugo di carne ricavato dalla cottura in casseruola di un bel pezzo di manzo: roba raffinata, da bucche sernue (palati scelti). Perché i ravioli ben fatti, ripieni di carne e verdura, come impone la tradizione genovese, con il loro sugo altrettanto curato, potrebbero reggere da soli la sfida natalizia. Negli anni sono stati dapprima banalizzati e poi quasi emarginati, così oggi si gustano soprattutto nelle trattorie di campagna, con punte di eccellenza che grazie a Dio ne mantengono alta la bandiera. Sempre fra i primi piatti, impossibile non citare almeno i macaruin de Natale, quella sorta di lunghi maccheroni che si mangiano in brodo. Per taluni si tratta di una “malinconia gastronomica”, ma anche se così fosse, il solo valore simbolico assegnerebbe loro il diritto a comparire in uno dei menù della festa.
Passiamo poi al cappone, il re dei volatili d’allevamento, un vero miraggio gastronomico per tante generazioni del passato. Anch’esso, sapientemente preparato in casseruola, o con buona perizia cotto al forno, diventa qualcosa di indimenticabile. Ma bisogna saperci fare per prepararlo al meglio, altrimenti si rischia di rovinarlo, peccato quasi imperdonabile! Come accompagnamento, per rendere omaggio alla tradizione si potrebbe scegliere la scorzonera, radice dal sapore gradevolmente amarognolo che non poteva mancare, in passato, sulle tavole liguri. Oggi non è sempre facile trovarla nei negozi, e quando si trova talvolta è anche costosa, ma saltata in padella restituisce un sapore ideale da accompagnare al cappone, quindi la consiglierei senza esitazione.
Si arriva dunque al pandolce genovese in una delle due versione notissime a tutti, cioè alto o basso, il primo lievitato con l’apporto del cosiddetto crescente, o lievito madre, il secondo fatto col lievito in bustina. A essi aggiungerei anche la più classica focaccia dolce natalizia. In passato prodotta soprattutto nelle case, da qualche decennio è tornata di gran moda anche grazie a un certo numero di pasticceri che la producono in diverse versioni. Nasce come dolce casalingo, più rustico, semplice, quasi essenziale. Oggi è stata raffinata, arricchita e insaporita, diventando un’alternativa al più classico pandolce. Infine, ma non certo ultima, la frutta candita, vero e proprio retaggio gastronomico che ricorda le tavole ricche di un passato anche molto lontano.
Chi non ama le carni, o proprio non se ne nutre, può optare per i ravioli di magro, ottimi con ripieno a base di ricotta ed erbe spontanee – se reperibili in proprio, vista la stagione – una buona insalata russa, che dall’antipasto può passare al secondo, oppure un pesce al forno o il regale cappon magro (per chi sa farlo!). In alternativa, da uomo dei monti, consiglierei una bella formaggetta appenninica, magari da accompagnare con scorzonera saltata e patate al forno. Il pandolce, poi, metterà tutti d’accordo, così come un buon bicchiere di moscato.  


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